Gail Albert Halaban | “Vis à vis” e “Out my window”

Out my window di Gail Albert Halaban

(di Mattia Zaranto)

Una domanda che forse ha del filosofico –  ma potrebbe essere anche uno scanzonato argomento da aperitivo:

perché rivolgiamo lo sguardo alle finestre di casa d’altri con indole spionistica, sentendoci poi intimamente in colpa per aver violato la privacy dei nostri vicini?

Credo che la questione sia comprensibile più o meno a tutti. L’homo urbanus si nasconde dietro le tende per catturare con lo sguardo i movimenti privati all’interno degli appartamenti antistanti, vite estranee ma vicine che l’homo urbanus ha brama di conoscere. Detto in breve, che sia nel nostro DNA o una caratteristica prettamente culturale, ci piace ficcanasare. Un sacco.

Nota bene: credere che lo spionaggio io→vicino sia unidirezionale potrebbe essere un pochettino ingenuo. Il processo emotivo di curiosità e senso di colpa coinvolge me quanto il mio vicino, con le considerazioni un po’ inquietanti del caso. Se dovete infilarvi un dito nel naso o camminare senza vestiti e siete inclini alla paranoia, tirate le tende.

Out my window di Gail Albert Halaban

Out my window di Gail Albert Halaban

Il piacere vouyeristico, sul quale si potrebbe discettare all’infinito, è esibito nelle foto di una talentuosa fotografa americana, Gail Albert Halaban. Ottenuto il BA allla Brown University e il Master of fine Art (specializzazione in Belle Arti) alla Yale University School of Art, vanta importanti apparizioni nel New York Times, nel New York magazine e nel Time magazine. Le sue opere sono esposte in ambito internazionale.

L’occasione di questo articolo deriva dalla mostra da poco terminata alla Galerie Esther Woerdehoff di Parigi, “Vis à Vis”, faccia a faccia, versione francese di un progetto più ampio che vede la sua genesi a New York con “Out My Window”.

Gail Albert Halaban ha fotografato dalla sua finestra con l’ausilio di apposite lunghezze focali gli scorci abitativi degli appartamenti di fronte, immortalando i vicini all’interno del loro spazio domestico. I soggetti sono stati fotografati nei momenti di  riposo davanti alla tv, seminudi appena usciti dalla doccia, mentre strimpellano una chitarra, durante la festa di compleanno di un bambino. Altre immagini hanno invece un sapore più malinconico. Si sente odore di solitudine, l’incolmabile distanza io-mondo, io-società, io-altri.

Out my window di Gail Albert Halaban

Out my window di Gail Albert Halaban

«Vivendo nelle città, il nostro sguardo è costantemente attratto dalle finestre che si affacciano sulle strade o sopra di noi, mentre camminiamo. Questa silenziosa e onnipresente curiosità umana cresce maggiormente nelle metropoli. Ma attraverso le foto, il nostro sguardo si può soffermare senza fretta, e si può esplorare la realtà –  o la fantasia – delle vite vissute al di là dei vetri.»

La finestra è un luogo di confine e come tale è una miniera di simboli e significati. Dentro e fuori si incontrano, privato e sociale si confondono. Le foto non ritraggono un singolo individuo, ma più persone all’interno dello stesso condominio, che si staglia sullo sfondo urbano di una realtà sociale.

Out my window di Gail Albert Halaban

Out my window di Gail Albert Halaban

Uno sguardo alle loro finestre mette in discussione la metropoli come luogo di incontro. La solitudine è palpabile. Se davvero conoscessi l’altro, non avrei desiderio di conoscere di più. D’altra parte è proprio  questo impulso a voler scoprire le abitudini e i sentimenti privati altrui a dare il senso di quanto abbiamo bisogno dell’altro. Nel rumore metropolitano e nel silenzio soffocante, noi ci cerchiamo, come se qualcosa ci spingesse a ristabilire la connessione, seppure in modo controverso, perché non “dobbiamo essere scoperti”.  Ma Gail Albert Halabam lo ha già confessato, e noi con lei: siamo usciti allo scoperto.

In realtà i soggetti delle foto, i cui recapiti telefonici sono stati banalmente trovati in un elenco del telefono, erano stati messi al corrente del progetto e la fotografa ha provveduto a installare nelle loro abitazioni luci speciali. Va da sé che nel tentativo di rappresentare l’innata ricerca del contatto e della comunità la fotografa si sia imbattuta davvero in persone in carne ed ossa: “Conoscere persone è stata una parte immensa [del progetto]. Molte amicizie sono sbocciate da questo.”

Scostata la tenda e salutando timidamente con la mano, l’incontro è stato davvero possibile.

Out my window di Gail Albert Halaban

Out my window di Gail Albert Halaban

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