Me Vs. Daniele Cascone
Avete presente quando, nei Looney Tunes, il protagonista di turno strabuzza gli occhi difronte a qualcosa di estremamente bello? Ecco, ora che avete immaginato quell’espressione di stupore misto a meraviglia potete figurarvi il mio volto quando ho scoperto le fotografie di Daniele Cascone. Daniele è un artista digitale e un fotografo, classe 1977, e realizza le sue opere con la foto-manipolazione. Ha sperimentato e coinvolto tra loro diverse tecniche tra cui pittura e inchiostri, fino ad approdare alla fotografia che, con il passare del tempo, è diventata la sua tecnica predominante. Sono felice di poter condividere con voi quest’intervista perché, di questi tempi, farsi stupire è difficile e, con me, Daniele ci è riuscito alla prima fotografia!
Salto le domande standard ed entro subito nel vivo delle – tante – curiosità che mi hanno assalito osservando le tue opere: i personaggi che interpretano il tuo nuovo progetto sono sempre privati del volto. Che ricerca si cela dietro questa scelta?
In una foto in cui è ritratta una persona, l’elemento su cui si concentra l’attenzione è il viso del protagonista e, di conseguenza, la scena viene interpretata sulla base dello stato d’animo che abbiamo percepito. In contrapposizione a questo principio, nascondo i volti per rendere ermetiche le emozioni provate dai miei personaggi, come se non avessero coscienza di sé e del luogo in cui si trovano. Questo corto circuito visivo, costringe a interpretare l’immagine per mezzo degli altri elementi, come la gestualità e gli oggetti presenti. Si dà così maggior peso al discorso simbolico.
Nelle tue opere emerge un forte immaginario onirico. Assoceresti le fotografie che ne risultano più a sogni o a incubi?
Credo a nessuno dei due: si tratta di un’analisi lucida di quelle sensazioni confusionarie che identifichiamo come subconscio. È l’osservatore finale, con la sua personale esperienza di vita, a dare una precisa connotazione a ciò che ha davanti e a stabilire se sta guardando qualcosa di misterioso, ironico, angosciante, o insensato.
La simbologia per te è un modo per far riflettere? Per mistificare? Per ottenere un distacco? Oppure per avvicinare le fotografie all’osservatore?
Penso che sia uno degli aspetti più stimolanti, perché permette di far leva nella psiche dell’osservatore in modo diretto e ammaliante, stabilendo così una connessione emotiva con l’opera in esame, anche se questa dovesse risultare, a prima vista, incomprensibile. La mia intenzione, come autore, è di consegnare qualcosa che non si esaurisca con un semplice sguardo, ma che possa essere analizzato e interpretato.
In molte tue opere c’è una componente connessa all’ambiente naturale: foglie, rami, etc. Nella tua visione in che relazione stanno uomo – natura?
La natura che raffiguro è sradicata dal suo contesto originario: rami estirpati dalla terra, foglie secche, fiori assemblati come elementi ornamentali. Non è florida e piena di vitalità e i miei personaggi interagiscono con essa inconsapevolmente o erroneamente, a volte nell’inutile tentativo di studiarla, altre volte imitandola goffamente, aspirando forse a prevaricarla o a diventarne parte. È una natura che incuriosisce, ma ben lontana dall’essere compresa. In particolar modo ho sottolineato questi aspetti nei due cicli di lavori “Mimesis” e “The dry room”.
Parlando nello specifico di modus operandi: come realizzi le tue idee?
In me convivono sia la componente progettuale che quella istintiva. La prima vuole mettere ordine e definire con chiarezza i passi da seguire; la seconda è così imprevedibile che a volte sfocia persino nell’approssimazione. Generalmente parto sempre da un’idea di cui pianifico gli aspetti principali: scrivo molti appunti, realizzo degli schizzi, costruisco le scenografie, definisco i costumi e provo le inquadrature e l’illuminazione. Ma quando arrivo alla fase di scatto, entrano in gioco così tante variabili che spesso stravolgo gli intenti iniziali. A volte torno sui miei passi per studiare delle soluzioni alternative, altre volte continuo improvvisando, ritrovandomi con qualcosa di assolutamente diverso dai miei piani originali. È certamente la fase più difficile del mio lavoro, che può durare anche mesi e portare a molti insuccessi, ma una volta ottenute delle immagini soddisfacenti, mi concentro sull’elaborazione digitale per poi ultimare con la fase di stampa, a cui dedico particolare attenzione.
Voglio finire con la domanda che di solito propongo all’inizio: cos’è per te la fotografia e come convivono in te “l’artista” “il fotografo” e il “digital artist”.
La convivenza tra le tre figure da te citate è abbastanza pacifica e in simbiosi: trovo naturale dare vita ai miei pensieri con una macchina fotografica, per poi rifinirli con l’elaborazione digitale. Non mi interessano i paletti imposti dai tanti teorici che vogliono definire a tutti i costi cos’è la vera fotografia e quale sia il suo più alto e corretto utilizzo. Per me è semplicemente il mezzo ideale per mettere in scena le mie idee, e tanto mi basta.
Ancora una domanda. Qualche anticipazione sulla tua prossima sfida fotografica: Daniele Vs.?
Attualmente sto lavorando a una nuova serie e la sfida è sempre la stessa: riuscire ad essere soddisfatti di ciò che si produce. Tengo in particolare a questo nuovo lavoro, perché vorrei presentarlo al pubblico con una mostra personale.
Per saperne di più: http://www.danielecascone.com
Pagina Facebook di Daniele:https://www.facebook.com/danielecascone.art
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