Me Vs. Simone Nervi

CAMPARI CALENDAR (2010) © Simone Nervi

Introdurvi la fotografia di Simone Nervi, bresciano classe 1980, mi mette a dura prova.
Quando presento un fotografo cerco sempre di offrire una chiave di lettura, una riflessione che accompagni il mio lettore tra le righe dell’intervista, ma la verità è che in questo caso non ci riesco. La fotografia di Simone mi incanta, mi incanta a tal punto che nell’esatto istante in cui mi metto testa-a-testa con le immagini, io mi ci ritrovo catapultata dentro. Mi ritrovo in mondi nuovi, in universi tangibili, in sogni cannibali. La distanza che intercorre tra oggetto e soggetto si annulla, si annulla a tal punto che mi è impossibile opporre resistenza e non farmi cullare in queste visioni immaginifiche e misteriose.
Buona lettura e…Buon viaggio!

Come ti sei appassionato alla fotografia e quando la passione è diventata professione?

Potrei dire di essermi appassionato fin da bambino, quando prendevo la vecchia reflex di mio papà o la mia Kodak S 100EF 135 e fotografavo tutto quello che c’era da fotografare.
Ma se vuoi sapere il momento esatto in cui presi la ‘decisione’, se non sbaglio, è stato una sera afosa di fine Giugno del 2002. Un giovedì verso le otto. Ero stato coinvolto in un piccolo progetto, sviluppatosi in seguito in una collettiva fotografica all’interno di una fabbrica abbandonata. Quel giorno ero di turno per aprire e chiudere la mostra. Di visitatori nemmeno l’ombra, ero annoiato, il silenzio in quella struttura enorme rendeva necessario fare qualcosa. Misi la macchina fotografica su un cavalletto e iniziai a esplorare ogni ambiente della struttura scattando autoritratti. Non fu in quel momento che mi resi conto di voler fare il fotografo, ma poco dopo. Alcuni minuti dopo, quando una guardia giurata, sorpresa di trovarmi in quel luogo, mi puntò la pistola addosso (senza, comunque, togliere la sicura) e la mia unica reazione fu dire: – Ancora due scatti e sono da lei –

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Tre opere o autori che hanno influenzato la tua fotografia.

Visto che mi sono dilungato troppo nella domanda precedente, risponderò in modo schematico a questa: di Federico Fellini, Hotel LaChapelle di David LaChapelle e La fine del mondo e il paese delle meraviglie di Haruki Murakami.

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Qual è il tuo modo di interpretare la fotografia?

In termini prettamente tecnici, la fotografia non è nient’altro che un mezzo, un mezzo per esprimere e rappresentare un concetto, un’emozione, una storia. Detto questo, attraverso la creazione di un’immagine in qualsiasi ogni sua forma, cerco solo di rendere realmente naturale la situazione più inverosimile e incongrua. Mi piace pensare di avere una particolare dote nel creare mondi onirici dediti a rendere la realtà un poco più simile a come vorrei che fosse. Devo ammettere che mi piacerebbe vivere nel paese delle meraviglie di Alice.

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Da quando hai iniziato la tua carriera di fotografo fino ad oggi, ci sono degli aspetti del tuo modo di lavorare e di approcciarti alla fotografia che sono cambiati?

Potrei dire no. Ma mentirei. Da giovane ero un ‘estremista’ della fotografia digitale rinnegando l’analogico in tutte le sue forme, ritenendolo il passato. Ora, anche se mi considero ancora un fotografo digitale (che, per inciso, non significa solo usare una fotocamera digitale e un computer) ritengo più importante l’idea che sta alla base di un progetto che il mezzo utilizzato o lo stile scelto.
E’ pur vero che la fotografia con il digitale sta subendo lo stesso percorso che ha intrapreso la pittura tempo addietro: si sta lasciando alle spalle la mera rappresentazione della realtà per raccontare un mondo più interiore, come la mente umana e il suo inconscio.

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Sei stato l’autore scelto per realizzare il Calendario Campari 2010: che ricordo hai di quell’esperienza?

Ricordo, in modo disordinato, la telefonata esplorativa dell’agenzia pubblicitaria, i giorni di attesa, la riunione di lavoro per un altro progetto con la stessa agenzia culminata con l’annuncio tanto atteso, il viaggio di ritorno in treno verso casa. E ancora i mesi frenetici di preparazione, la scoperta di nuovi amici, i quattro giorni di shooting, la gentilezza di Olga, la post produzione, l’odore delle vernici di stampa e il party di presentazione. In poche parole mi sono divertito.

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C’è un dibattito, spesso prettamente speculativo, su cui molti fotografi sono intervenuti in relazione all’importanza o meno dell’attrezzatura (corpo macchina etc) nel determinare la buona riuscita di una fotografia. Qual è il tuo punto di vista?

E’ ovvio che avere la migliore attrezzatura aiuta ad avere la migliore qualità tecnica possibile, ma è la componente umana che determina la qualità assoluta dell’immagine. E, nel mio campo di competenza, è la giusta collaborazione tra fotografo, art director, stylist, make up artist & hair stylist, modelli, assistenti che rende una fotografia degna di nota.
Come ho detto in precedenza, il digitale ha dato la possibilità di esplorare nuovi mondi mentali, onirici e interiori, ma sta all’artista saper sfruttare al meglio questo mezzo.

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La post produzione e il fotoritocco sono due tecniche di elaborazione digitale dell’immagine molto presenti nelle tue fotografie. Mi piacerebbe chiederti di dare a chi ci legge degli strumenti per analizzare la post produzione e il fotoritocco. Come può un fruitore della fotografia (e quindi non per forza un esperto) capire se ha di fronte a sé una buona fotografia o meno. 

Il fotoritocco è rendere migliore lo scatto originale, la postproduzione è stravolgere lo scatto rendendolo tutt’altra cosa, sempre tenendo ben presente la regola di base: rendere realmente naturale la situazione più inverosimile e incongrua.
Anche in questo caso, il significato di ‘buona fotografia’ può essere scisso in due componenti: la parte tecnica e la parte assoluta.
Una fotografia è tecnicamente buona quando l’elaborazione digitale è nascosta: quando è così integrata nell’immagine stessa che il fruitore non può immaginare la fotografia in modo diverso da come la sta osservando.
Per la componente assoluta si entra in un campo molto soggettivo e di difficile interpretazione. Potrei solo dire che una fotografia che provoca un’emozione, un ricordo o un pensiero allo spettatore, ha fatto bene il proprio lavoro.

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E per finire, la tua prossima sfida fotografica: Simone Vs. ?

Mi piacerebbe dire Simone Vs. Cinema, ma per ora mi accontento di Simone Vs. Movies World (un progetto fotografico che lentamente si sta formando e presto prenderà vita)

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Per saperne di più: www.simonenervi.com

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