Chat con Efrem Raimondi: cos’è l’attimo in fotografia?
(Fotografia di apertura: Zlatan Ibrahimović, 2008)
Elisa: Partirei da qui: cos’è l’attimo in fotografia?
Efrem: Direi il momento in cui ti accorgi che puoi traslare un linguaggio sospeso in linguaggio compiuto, iconico. Non credo però nell’attimo bressoniano, per intenderci.
Elisa: L’attimo può essere un lasso temporale anche prolungato? È una consapevolezza?
Efrem: Per definizione no, è circoscrivibile al momento dell’intuizione. Dopo subentra il linguaggio. È però davvero una consapevolezza… Altrimenti non lo coglieresti.
Elisa: E a cosa associ l’intuizione?
Efrem: Eh… Tostina questa intervista…
Alla capacità di cogliere elementi che ti appartengano in quel preciso istante, una prima visione potrei dire. È più di un’intuizione…
Elisa: L’intuizione è una sintesi?
Efrem: È la certezza che da lì puoi modulare il linguaggio che ti appartiene. Forse trovi gli attimi che cerchi e non altri. Gli altri, quelli che perdi, in realtà non ti riguardano.
C’è insomma un rapporto causale.
Elisa: È la certezza che il fotografo vive nell’attimo che si tramuta nel gesto fotografico?
Efrem: È una certezza che attraverso l’atto l’autore verifica… Ma l’atto in sé è solo strumento della visione che hai percepito e che intendi rendere iconograficamente. Mica sempre funziona!
Elisa: Trovo interessante che la fotografia, che più che rispondere, spesso domanda al fruitore, nasca da una certezza.
Efrem: Io mi nutro di dubbi ed è questo ciò che fotografo o almeno questa è l’intenzione. La certezza sta nell’attimo. Il suo sviluppo appartiene a un altro tempo e lo puoi verificare solo facendo.
Elisa: Mi faresti un esempio?
Efrem: Cogli una roba, anche una sfumatura marginale… È il tuo sguardo a dirtelo. Quando accade hai l’impellenza di traslare sul piano fotografico… Estremamente reale per te. Quindi procedi. Solo che non vai per tentativi – non mi sono mai appartenuti se non in casi particolarissimi e rarissimi – vai dritto all’unico elemento che hai colto. Poi ti guardi attorno e verifichi l’insieme. È solo nell’insieme di ciò che mostri che esprimi compiutamente il dettaglio dell’istante.
Elisa: Mi piace il termine “impellenza”. Come se fosse un bisogno, qualcosa di cui non si può fare a meno, qualcosa che cerca compimento.
Efrem: È un’urgenza. Imprescindibile e menefreghista. La premessa però è che sono piuttosto agevolato nella riflessione che faccio sulla Fotografia: è quella che concretamente faccio a suggerirmi tutto. E anche quella di altri che in qualche modo mi riguarda.
Elisa: Mi diresti di più su quel “menefreghista”? Mi fa pensare ad alcuni saggi che ho letto, circa l’individualità del momento fotografico e del senso di possesso nei confronti del reale. Che forse è un po’ quella certezza di cui abbiamo accennato.
Efrem: Forse sì, forse è quella certezza. Non mi pongo mai il problema del fruitore – inteso come il passante. Questo è semmai un problema che si pone dopo, a giochi fatti, con la tua bella/brutta fotografia in mano. Non è un fatto mediatico: trovo conforto o no in ciò che ho fatto? Nell’immagine che ho davanti? Punto.
Non mi pongo problemi morali: credo davvero che il fotografo debba innanzitutto rispondere a sé stesso. Tutto il resto è altrove.
Elisa: Che ruolo ha quindi l’altro? Chi fruisce, o meglio esperisce le fotografie.
Efrem: Che sperimenta intendi? Che usa la fotografia? O più semplicemente che guarda fotografie?
Elisa: Colui a cui è rivolta la fotografia. Che talvolta sperimenta, usa, o guarda, a seconda dei casi.
Efrem: Dipende… Se è un assignment DEVO pensare a un mandato. Ed è sempre un fatto dialettico entro il quale uso ciò che mi riguarda, ma non potrei mai usare o modulare ciò che non mi appartiene. Se non è un assignment non me ne occupo.
Sono fondamentalmente punk. La mia fotografia è punk. Zero glam… Quindi lavoro per sottrazione. Sempre. Meno mi preoccupo degli altri meglio sto con l’icona.
E F R E M R A I M O N D I
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