Fotografia e pittura: dal pittorialismo ai giorni nostri

Quando si pensa alla fotografia e alla pittura, spesso le si immagina come due forme d’arte distinte, quasi in competizione. Eppure, se guardiamo con attenzione alla storia, ci accorgiamo di quanto queste due espressioni creative si siano intrecciate sin dalle loro prime fasi. In particolare, nel passaggio tra XIX e XX secolo, la fotografia diventa non solo un supporto utile ai pittori, ma anche una nuova possibilità espressiva che rivoluziona il concetto stesso di arte.
La nascita del pittorialismo: quando la fotografia voleva essere pittura
Verso la fine dell’Ottocento, la fotografia inizia a diffondersi con maggiore rapidità, ma non è ancora considerata una vera e propria arte. Molti fotografi si sentivano “artigiani”, legati a un mezzo meccanico che riproduceva la realtà, più che a un linguaggio artistico autonomo.
È a questo punto che emerge il pittorialismo, un movimento che punta a conferire alla fotografia l’atmosfera e la poeticità della pittura: i soggetti diventano spesso sfocati, avvolti in una luce soffusa e caratterizzati da composizioni studiate nei minimi dettagli. I fotografi pittorialisti, come Henry Peach Robinson e Peter Henry Emerson, sperimentano con tecniche di stampa che rendano lo scatto più simile a un dipinto.
L’idea di fondo? La fotografia non deve essere solo la “fotocopia” del reale, ma un’opera d’arte a tutti gli effetti, in cui la mano dell’artista (e non solo l’occhio) abbia un ruolo decisivo.
Gli artisti dell’Ottocento: usare la fotografia come supporto o come ispirazione
Allo stesso tempo, nel corso dell’Ottocento, anche molti pittori si avvicinano alla fotografia, che rappresenta un metodo nuovo, veloce ed economico per catturare la realtà e trasporla poi sulle tele. La fotografia diventa così un vero e proprio “taccuino visivo” a disposizione dei pittori.
Si pensi, ad esempio, a Edgar Degas, che sperimenta con la fotografia per indagare i movimenti delle ballerine e per fissare pose fuggevoli. Oppure a Eugène Delacroix, che, da curioso indagatore della realtà e dei volti umani, si fece fare diversi ritratti fotografici e li utilizzò per rifinire alcuni particolari dei suoi dipinti.
Federico Zandomeneghi: un esempio tutto italiano
In questo contesto, non possiamo dimenticare un pittore come Federico Zandomeneghi (1841-1917), veneziano trapiantato a Parigi, che fu amico e collaboratore di artisti del calibro di Edgar Degas e Pierre-Auguste Renoir. Anche se il suo nome non è tra i più citati nei manuali di storia dell’arte, Zandomeneghi è parte integrante del gruppo degli Impressionisti.
Il legame con la fotografia
Zandomeneghi, come molti artisti suoi contemporanei, non disdegnava l’uso della fotografia per catturare pose, volti e scene di vita quotidiana. Anche lui, infatti, vedeva nel nuovo mezzo una risorsa pratica per lo studio dei soggetti, specie in un’epoca in cui la pittura all’aria aperta stava prendendo sempre più piede, ma in cui fermare movimenti o atteggiamenti spontanei era estremamente difficile.
La fotografia consentiva di accumulare una sorta di “banca dati” di immagini, poi reinterpretate a pennello. Negli schizzi di Zandomeneghi e nelle sue opere finite, è possibile scorgere quella precisione “catturata al volo” che solo un’istantanea potrebbe restituire.
L’influenza sugli Impressionisti
Zandomeneghi è spesso ricordato come “l’italiano tra i francesi”, perché si inserì perfettamente nell’ambiente parigino della seconda metà dell’Ottocento. Le sue tele, piene di colore e luce, riflettono lo spirito impressionista, ma al contempo mostrano un’attenzione particolare a certi dettagli figurativi che ricordano il tratto più realistico. Qui la fotografia fa da collante: da un lato ispira l’immediatezza della cattura di un momento, dall’altro, grazie alle basi tecniche maturate in Italia, Zandomeneghi non perde mai il gusto per la composizione studiata.
Il XX secolo: la fotografia diventa arte autonoma (e i pittori diventano fotografi)
Se nel corso dell’Ottocento la fotografia era “figlia minore” di una pittura che le faceva da mentore (o la vedeva come un avversario), nel XX secolo assiste a un’evoluzione straordinaria. Alcuni fotografi cominciano a vedere nella fotocamera un mezzo espressivo puro, senza alcun complesso di inferiorità nei confronti della pittura.
Basti pensare ad Alfred Stieglitz, che con la sua rivista Camera Work e il movimento Photo-Secession rende la fotografia americana una forma d’arte a tutti gli effetti. Oppure a Man Ray, che mescola pittura, scultura e fotografia, creando rayografie e sperimentando con la tecnica dei fotogrammi.
Artisti a cavallo tra i due mondi
Nel Novecento non mancano i grandi nomi che lavorano su entrambi i fronti, pittura e fotografia. Ne sono esempi:
- Andy Warhol, che utilizza la fotografia per realizzare le sue celebri serigrafie e, nello stesso tempo, scatta foto istantanee di personaggi famosi, creando ritratti iconici.
- David Hockney, conosciuto soprattutto come pittore, ma che ha sperimentato la fotografia realizzando i celebri photomontage (o joiner photographs), in cui l’immagine finale è composta da più scatti sovrapposti.
- Salvador Dalí, che, pur restando principalmente pittore, si è prestato a numerosi esperimenti fotografici (spesso in collaborazione con Man Ray o Philippe Halsman) per dar vita a composizioni surrealiste.
Dal pittorialismo ai giorni nostri: l’influenza reciproca continua
Oggi, grazie a smartphone, fotocamere digitali e software di fotoritocco, siamo quasi tutti “fotografi” almeno a livello amatoriale. E la divisione tra pittura e fotografia appare sempre più sfumata: dalle installazioni d’arte contemporanea, che mescolano scultura, pittura e proiezioni fotografiche, fino al mondo delle gallerie, dove la fotografia è considerata un’opera di pregio in tutto e per tutto.
L’eredità del pittorialismo si avverte ancora, soprattutto in quelle correnti che cercano di ammorbidire o manipolare l’immagine fotografica in fase di post-produzione per conferire un effetto più “pittorico”. Parallelamente, anche molti pittori contemporanei fanno ricorso alla fotografia, soprattutto per l’iperrealismo: capita spesso che un artista iperrealista scatti decine di foto come riferimento per dipingere in modo maniacalmente fedele alla realtà.
…e oggi?
La storia ci insegna che la fotografia e la pittura hanno intrecciato i loro destini sin dalla nascita della prima. Quello che all’inizio era soltanto un mezzo di supporto per i pittori – utile a catturare l’istante e a risparmiare lunghi tempi di posa ai modelli – diventa nel Novecento un medium artistico autonomo, affascinante e potentissimo.
Pittori come Federico Zandomeneghi e altri Impressionisti sfruttavano la fotografia a proprio vantaggio, mentre i fotografi pittorialisti cercavano di “imitare” la pittura per guadagnarsi il titolo di artisti. Poi, nel secolo successivo, i due mondi si sono fusi in un abbraccio creativo, fatto di contaminazioni e sperimentazioni che hanno portato a risultati strabilianti.
Oggi, più che mai, la contaminazione continua a regalarci nuove forme d’espressione. La fotografia si apre a infinite possibilità di manipolazione, mentre la pittura attinge agli scatti fotografici per superare i confini dell’immaginazione. In fin dei conti, parlare di “pittura” e “fotografia” come due universi separati sembra sempre meno corretto. Forse è meglio parlare di arte, semplicemente, con tutta la libertà di cui abbiamo bisogno per creare qualcosa di nuovo.
Recommended Posts

Karl Blossfeldt: le piante nell’arte
Ottobre 02, 2013

Eugène Atget: la fotografia disumanizzata
Settembre 30, 2013

Horst P. Horst: tra classicismo e pubblicità
Settembre 23, 2013