Me Vs. Marco Piraccini

Cate Blanchett - Fotografia di Marco Piraccini

Marco Piraccini, 34 anni, è originario di Cesena. Diventa psicologo clinico per poi lasciare professione e casa alla volta di Milano. All’ombra della Madunina, intraprende un percorso artistico attraverso collaborazioni con agenzie giornalistiche e fotografiche fino a quando prende la decisione di concentrare le proprie energie per fare della Fotografia quello che gli piace veramente: raccontare i personaggi del cinema, musica e tv che ne hanno sviluppato sogni e speranze. La determinazione non gli manca, il sorriso nemmeno. E nelle sue fotografie si scorge quel pizzico di follia che è parte del fotografo stesso. Quella scintilla, per me, merita di essere approfondita.

Fotografo, giornalista e psicologo clinico. Un mix davvero interessante: cosa accomuna questi tre tuoi ambiti professionali?

Non ci avevo mai pensato prima di iniziare il lavoro di fotografo… oppure ci penso da tutta una vita: la psicologia è, per me, la parte fondamentale di ogni scatto. Mi spiego: per il modo che ho di intendere la fotografia, per lo meno quella che piace fare a me, la parte più intima, introversa della persona che ritraggo è ciò che mi accorgo di voler mettere in risalto. Quando qualcosa va come deve andare, quando si è soddisfatti degli scatti prodotti, quasi sempre c’è una profonda empatia tra me e la persona che desidero ritrarre. Sentire l’altro per mostrargli una diversa visione di se stesso: ecco il legame tra i miei studi e la mia professione/passione.

Quando hai iniziato a lavorare come fotografo?

Sono vicino alla fotografia da sempre. I regali ricevuti per il diploma prima e per la laurea poi son stati macchine fotografiche. Così come una reflex professionale è stato il mio primo acquisto con i guadagni derivati dai primi lavori. Tuttavia son 8 anni che pratico la fotografia senza interruzione 7 che vivo di essa e per essa. Il tutto coincide da quando ho lasciato la Romagna e quel che facevo per trasferirmi a Milano con la volontà di trasformare le mie passioni in un lavoro.

Lavori anche presso un’agenza. Come funziona? Mi sveli qualche segreto?

Ho svolto il praticantato giornalistico presso un’agenzia prima per concluderlo, poi, in una seconda. Son stato molto fortunato nonostante i tanti nodi in gola da dover mandare giù nei confronti delle ingiustizie che il mondo dei privati riserva. Lavorare per un’agenzia fotografica-giornalistica comporta un impegno di 24 ore su 24, sette giorni su sette, 365 giorni l’anno. Si deve essere alla continua ricerca di notizie, eventi, persone e/o fatti che possano contribuire alla formazione di un servizio. La notizia, il reportage fotografico, sono spesso frutto di un’idea del fotografo che deve poi concordare e coordinare con i soggetti lo svolgimento corretto dei fatti pensati. Devi capire qual è l’area che ti interessa e metterla al primo posto: vivere per quel che ti emoziona e capirne i funzionamenti in moda tale, a volte, da poter anticipare gli avvenimenti. È importante comportarsi bene, avere una deontologia professionale forte in modo tale da lasciare sempre e comunque una impronta positiva nei contesti e tra le persone che si sono visti e frequentati.

Ti occupi spesso di fotografia di scena per il cinema, il teatro e la tv: quali sono le difficoltà principali che ci possono essere?

Il fatto che tutto quello che fotografi, penso ai concerti che son la mia più grande passione, accade in una frazione di secondo e non è più replicabile. Essere fotografo di scena significa osservare ogni istante di quello che ti si presenta davanti agli occhi senza mai tralasciare il soggetto principale e tutto il team di lavoro: bisogna far capire come si svolge un lavoro, come si concretizza un’idea, come nasce e si sviluppa il concetto di bellezza. Nei concerti è questione di una luce che bagna per un attimo i capelli, di un faro che si spegne per disegnare un’ombra: lavorando in manuale, ogni frazione di secondo il cervello ti indica quali sono i parametri da utilizzare in quel preciso momento.

Hai un aneddoto da condividere?

Ne avrei tanti, tantissimi. Ma nella maggior parte dei casi son protetti da una sorta di “segreto professionale”! Probabilmente il set più bello cui abbia mai lavorato è stato quello che vedeva protagonista Amanda Lear, una regina indiscussa dell’immagine e dell’arte. Ecco, in quel caso posso dire che le competenze tecniche del fotografo contano relativamente poiché la protagonista sa già, e molto bene, come lavorare per ottenere risultati sbalorditivi. È uno di quei casi in cui si imparano lezioni che nessun’altro potrebbe insegnarti: l’esperienza.

E una disavventura invece?

Una volta, alcuni anni fa, mi trovavo a Londra per realizzare insieme a una cantante italiana un reportage sulla Kabbalah presso il famoso Kabbalah Centre. Per due giorni consecutivi son stato invitato a seguire le meditazioni e con mia grande sorpresa mi son trovato a condividere la stessa stanza con Madonna. Non c’era bisogno di dire che fosse vietato fotografarla e/o parlarle perché ogni suo sguardo era una sorta di raggio laser che ti tagliava in due: persino a cena, quando mi hanno assegnato la postazione accanto alla sua, ho passato tre ore cercando di torcere la schiena per paura di infastidirla con un’occhiata improvvisa. A parte questo episodio.. .devo dire che in Italia i set fotografici sono tanto più belli e produttivi quanto più grande è il personaggio che viene ritratto: nel momento in cui si ha a che fare con persone baciate da due o tre ore di gloria è garantito il trattamento padrone – servo.

Quando scatti una fotografia, devi creare in poco tempo un legame, un feeling, con il soggetto. Come ti comporti? Ci sono dei metodi  che mettono più facilmente a proprio agio le persone?

Sicuramente se la persona che devi fotografare è qualcuno che stimi, apprezzi, allora è più semplice sentircisi in sintonia. Ad ogni modo l’importante è sempre ascoltare e parlare: capire, o cercare di farlo, cosa la persona desidera, come si vede e sente. Bisogna esserci: essere pronti a intervenire e soprattutto far sempre sentire il soggetto dello shooting come il re, o la regina, indiscusso/a. Bisogna capire che chi sta davanti alla macchina fotografica viene in un qualche modo messo a nudo per cui non si deve invadere l’intimità altrui se non muovendosi sempre in punta di piedi senza mai essere eccessivi o aggressivi. Questo, almeno, per quanto mi riguarda: la sensibilità è la prima cosa ad entrare in gioco tra fotografo e soggetto.

Dimmi la verità: è più complesso fotografare un vip, o in generale qualcuno che è abituato a stare sotto i riflettori oppure sono le persone di tutti i giorni a essere una vera sfida in termini fotografici?

Per un personaggio dello spettacolo è un’abitudine stare sotto i riflettori e, quindi, si riscontra nella maggior parte dei casi una propensione alla posa che risulta naturale, “spontanea”. Certo, ci son anche dei casi davvero persi in partenza ma son rari. Le persone “comuni” son spesso difficili perché non abituate a sentirsi protagoniste e quindi l’imbarazzo entra a far parte dello shooting ritardando gli effetti desiderati. Devo dire che, comunque, le generazioni attuali son così abituate all’esibizionismo che in taluni casi non si ha bisogno di parole perché il soggetto è già più preparato del fotografo!

Un uomo e una donna che sogni di poter fotografare (e perché!).

Domanda difficilissima. Tra gli uomini, la mia passione fotografica è tutta rivolta a Jon Kortajarena, il modello spagnolo testimonial di qualsiasi brand di alta moda. L’ho fotografato a una festa e lui ha gradito così tanto l’unico scatto che ho fatto da pubblicarlo sui suoi social con tanto di citazione. Ma mi piacerebbe molto poterlo ritrarre da solo, magari in un’atmosfera metropolitana: ha un volto pazzesco con una tale molteplicità di espressioni da lasciarmi basito. Tra le donne.. beh, Madonna sarebbe forse il sogno proibito, ma solo perché mi piacerebbe dimostrarle che può risultare bellissima in fotografia senza eccessivi interventi di photoshop (che non uso) o trasgressioni. Ad ogni modo mi son portato avanti comprando i biglietti per tutte e tre le sue date italiane: credo che tra duemila foto, qualcuna bella ne tirerò fuori.

Sei molto attivo anche sui social network, credi che il web offra delle potenzialità interessanti per raccontare agli altri il proprio lavoro e la passione con cui lo si svolge?

Assolutamente! I social sono già di per sé un lavoro se li si segue ed usa bene. Bisogna stare molto attenti e operare un esercizio di selezione massiccia affinché non sia la quantità di immagini a emergere quanto la loro peculiarità. Il “bello” dei social è che, attraverso un solo scatto, puoi e devi dare un’idea di quel che sei e stai facendo: niente conta più della percezione che di te dai agli altri. Talvolta basta farti vedere in un certo contesto o accanto a qualcuno di noto per essere poi contattato da addetti ai lavori: non è forse bello, ma anche questo fa parte del gioco. Quando su Instagram, in piena notte, pubblicai la mia foto con Cher, lo scatto fece il giro del mondo in poche ore tanto che la mattina, al mio risveglio, ero additato come suo toy boy su numerosi blog e siti esteri: e un episodio come questo, talvolta, serve a rompere il ghiaccio con persone con cui intraprendere un rapporto lavorativo.

Per saperne di più: Facebook 

 

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Commenti

  1. Tutta la mia stima e sincera amicizia all’amico Marco!!!!! Un grande…..

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